In questa intervista Gian Franco Goeta, amministratore di Astrolab, illustra il funzionamento della metodologia del coaching, dei vantaggi dimostrati nel tempo ma anche dei limiti che sono stati via via evidenziati nella pratica, e propone un’evoluzione del coaching verso una visione ed una pratica innovativa e maggiormente efficace, l’Augmented Coaching.

 

Cosa sta accadendo oggi nel mondo del coaching? È una metodologia che mostra segni di obsolescenza?

Non ritengo proprio che sia né obsoleta né superata.

Anzi sono convinto che dal Coaching classico si possa estrapolare un valore molto più vasto che agevola i cambiamenti di un sistema organizzativo e di business nella sua totalità, andando al di là della sommatoria di un impatto sui singoli individui.

 

Facciamo un passo indietro: qual è la caratteristica del coaching e a cosa serve?

Il coaching è nato come metodologia di trasformazione, al servizio della crescita e dello sviluppo di un individuo. Il grande valore del coaching sta nella scoperta – dimostrata e verificata ormai in tanti anni – che il cambiamento è nelle mani del protagonista di chi vive la situazione da modificare.

Questo principio è stato il grande beneficio che il coaching ha apportato a tutte le precedenti modalità di sostegno al cambiamento di un individuo.

Si era sempre pensato in ambito aziendale che il training e la prescrizione di nuovi principi sarebbero stati sufficienti per attivare un processo di cambiamento. Nonostante risultati nei fatti poco entusiasmanti: ma si trattava di un modello così inciso nella cultura non solo aziendale che pochi lo hanno messo in discussione

Il coaching di colpo ha superato questa visione, perché ha accelerato in misura incredibile un processo di adattamento che richiedeva normalmente mesi se non anni. Un processo che lasciava spesso strascichi di malumore e di frustrazione nell’individuo coinvolto nel cambiamento, come accadeva fin troppo frequentemente prima che arrivasse il coaching.

 

Possiamo fare un esempio?

Si sceglieva una persona, lo si faceva crescere ad un livello di responsabilità maggiore, e gli si diceva che doveva garantire una certa performance o magari raggiungere nuovi obiettivi, dandogli (al meglio) una infarinatura descrittiva della situazione che avrebbe incontrato.

Un approccio a forte rischio perché la persona coinvolta non era messo in condizione di percepire quali specifici elementi del suo comportamento dovesse modificare per assolvere al suo nuovo ruolo, al nuovo sistema, alla nuova strategia.

Di conseguenza la persona brancolava nel buio fino a che nell’ipotesi migliore non trovava faticosamente un suo modo di adattarsi al nuovo contesto, obiettivo, strategia.

Il coaching invece abilita l’individuo a prendere in mano il suo cambiamento, governando il timone del processo a partire da una diagnosi condivisa in cui la persona diventa consapevole dell’impatto dei suoi comportamenti attuali sugli altri.

Quando a questo punto il protagonista parte verso il suo viaggio di cambiamento, ha ben chiaro cosa deve cambiare, lo co-definisce con il coach e deve semplicemente avanzare lungo un percorso che ha una meta precisa.

Una meta che consiste nell’acquisire alcune competenze articolate in alcuni comportamenti concreti e specifici, con interlocutori ben precisi, in situazioni definite.

 

Puoi descrivere come funziona il coaching successivamente?

Questo momento diagnostico viene replicato ogni volta in cui l’individuo deve decidere una nuova strategia di comportamento per rispondere alle sfide emergenti nel suo contesto attuale, rispetto alle quali ha finora applicato risposte che non si sono dimostrate pienamente efficaci, o in un nuovo contesto tutto da verificare.

Prima di attuare sul campo la nuova strategia (co-creata con l’assistenza del coach) la sperimenta con il coach e ne riceve un feedback immediato che gli consente di verificare i possibili effetti dei suoi comportamenti su di sé e sul coach nei panni del suo interlocutore, in modo da affinarne l’efficacia. Si tratta di un vero e proprio allenamento.

Questo avviene per esempio attraverso un role-playing o altre possibili prove che evidenzino i costi e benefici del nuovo approccio ipotizzato.

 

Allora possiamo vedere il coaching come un laboratorio?

Certo: è proprio questo il lavoro con il coach. Andando più a fondo, serve a sperimentare cosa succede provando a coniugare bisogni contrapposti, difficilmente coniugabili.

Facciamo un esempio: abbiamo un coachee, cioè il protagonista del cambiamento, che sa (e condivide) la necessità di imparare a trattare diversamente i suoi collaboratori perché attualmente il suo modo di gestire è molto accentrato e non agevola nelle persone la capacità di assumersi responsabilità e quindi di imparare e di crescere

Nel momento diagnostico iniziale il coach assume il ruolo della persona, mentre la persona (il coachee) si mette nei panni di un suo effettivo collaboratore.

Il coach replica con lui i comportamenti che normalmente la persona mette in atto con i suoi collaboratori. A questo punto la persona è in condizione di percepire sulla sua pelle qual è l’impatto di quei comportamenti. E con l’aiuto del coach può dipanare i vantaggi e svantaggi del suo approccio abituale.

E solo a questo punto è motivato a superare lo stadio di partenza. Parte così un viaggio di scoperta di modalità alternative di comportamento che vengono ogni volta testate con il coach.

La sperimentazione diretta seguita dal feedback immediato è il principio fondamentale del coaching che consente al coach di aiutare il coachee ad andare oltre i suoi limiti attuali.

Gian Franco Goeta, fondatore e amministratore di Astrolab
Gian Franco Goeta, fondatore e amministratore di Astrolab

Astrolab propone una nuova metodologia: l’Augmented Coaching? Di cosa si tratta?

L’Augmented Coaching si propone di utilizzare lo stesso principio prima descritto applicandolo ad un sistema più vasto, che vada al di là del singolo individuo. Può essere un team, può essere una popolazione di occupanti lo stesso ruolo o funzione, o addirittura un intero sistema organizzativo.

 

Quindi l’Augmented Coaching ha un approccio sistemico. Questo crea delle complessità?

Naturalmente la fase diagnostica è più complicata. Nel coaching classico il soggetto del cambiamento è un individuo; quindi, si tratta di fare da specchio all’individuo in modo che si renda conto degli effetti che il suo approccio abituale può provocare.

Qualcosa di simile si può attuare anche con un team, attraverso alcune prove, o una raccolta di dati attraverso interviste o questionari, in cui vengono messi a fuoco, ad esempio, il livello di ascolto fra le persone, il grado di partecipazione, le modalità di gestione dei conflitti e della presa di decisioni all’interno del team.

In sostanza anche in queste circostanze si mettono a fuoco dei processi di comportamento che possono essere poi verificati nella loro efficacia insieme a tutto il team.

E se il comportamento è ritenuto non soddisfacente occorre anche qui ricercare e sperimentare nuove modalità di comportamento.

Con l’Augmented Coaching il principio resta lo stesso ma con una dimensione più vasta. Immaginiamo di dover cambiare o di voler cambiare lo stile di leadership di un’intera popolazione.

Si segue allora una struttura di analisi e diagnosi articolata su più fasi e livelli, che consente a tutte le persone interessate di giungere ad una piena comprensione delle criticità attuali e di suggerire e capire quale cambiamento occorre attivare.

 

Possiamo fare un esempio di come opera l’Augmented Coaching?

Immaginiamo che un sistema debba attivare dei cambiamenti nel processo di innovazione in modo da accelerare il Product Development di un’azienda.

Occorre anche in questo caso costruire un laboratorio in cui le persone possano sperimentare l’intero processo di innovazione, anche nelle fasi non precedentemente vissute.

In questo laboratorio sperimentano, verificano e trovano via via insieme il modo più efficace di generare innovazioni. In pratica il principio è molto simile a quello dell’action learning in cui si impara facendo, con in più una serie di momenti diagnostici lungo la strada che consentono di misurare in partenza quanto siamo distanti dall’obiettivo di efficacia che vogliamo raggiungere, quanto stiamo migliorando e quanto siamo soddisfatti dei progressi attuati.

 

Qual è l’elemento di maggiore differenziazione tra il coaching classico e l’Augmented Coaching?

Il coach classico si concentra tipicamente su competenze soft, mentre con l’Augmented Coaching si può mettere sotto osservazione e tentare di migliorare accanto a queste un concreto processo di business.

Il risultato conseguibile, quindi, non consiste in un semplice cambiamento di atteggiamenti della persona, ma il rafforzamento di un fenomeno complesso come il modo di lavorare di una funzione, l’innovazione, il lancio di nuovi prodotti o di nuovi business, e così via.

L’azienda che utilizza l’approccio dell’Augmented Coaching alla fine del percorso non trova soltanto persone con nuove capacità e nuovi atteggiamenti, ma contestualmente mette in pista delle innovazioni organizzative o nuovi business promettenti da lanciare.

 

Fino a che punto l’approccio dell’Augmented Coaching permea i servizi offerti da Astrolab?

La mission di Astrolab sta nel permeare in tutti i nostri servizi questo approccio e questi principi.

Facciamo un confronto con le modalità classiche di gestione del cambiamento in chiave consulenziale.

Normalmente la consulenza si assume in proprio la responsabilità di progettare il nuovo processo. Arriva un team di consulenti che analizza la situazione in atto e progetta il nuovo modo di operare, poi lo consegna agli interlocutori, a cui spetta l’onere di applicarlo.

Un po’ come succedeva con la formazione: il discente arrivava in aula e vedeva, ascoltava e si sentiva descrivere un nuovo approccio, per esempio un nuovo stile di leadership. La persona completava il percorso dal punto di vista dei macro-principi ma senza avere chiaro cosa precisamente dovesse modificare nei propri comportamenti e soprattutto come specificamente applicarla con i propri interlocutori sul suo campo d’azione, ognuno dei quali probabilmente richiede un approccio diverso.

Con l’approccio consulenziale classico ti propongo una nuova linea strategica, poi sono problemi tuoi se vuoi applicarla o se sei capace di farlo. Io te l’ho disegnata, è teoricamente perfetta e ineccepibile.

Nell’approccio dell’Augmented Coaching abbiamo un brief dal cliente che ci dice in che direzione dobbiamo andare, ad esempio migliorare una performance di business, sviluppare nuovi prodotti, aumentare i margini o ridurre certi costi, e il quesito è cosa realizzare o come arrivarci.

Allora l’Augmented coach affianca e impegna il team cliente nell’analisi di tutto il processo organizzativo, aiutandolo a costruire modalità più efficienti e meno costose, senza perdere in qualità.

Quindi il team che opera lo sforzo progettuale è costituito dalle stesse persone che successivamente dovranno avviare e gestire il nuovo processo, o prodotto, o business.

In precedenza tutto il lavoro di analisi, diagnosi e riprogettazione veniva realizzato da un esperto che sulla base della sua autorevolezza decideva in base ai propri criteri quali fossero le cose giuste da fare.

Invece in questo approccio le cose giuste da fare le decide un team costituito da figure che vivono in quel contesto, perché solo chi vive in quel contesto – analizzando e costruendo il nuovo approccio – è in grado di coglierne tutte le difficoltà, tutti i possibili ostacoli e tutti i possibili problemi.

Figure che operano in tutte le funzioni implicate nel processo e quindi ne conoscono le esigenze, le pratiche e le priorità, in modo da prevedere e prevenire i problemi che poi si scatenano a valle di un cambiamento nella fase di esecuzione.

Di solito, nell’approccio tradizionale, quando arriva un cambiamento, è già impacchettato, già confezionato, e tutti resistono (anche se formalmente lo accolgono in quanto voluto dal vertice) perché vivono questo oggetto misterioso – il cambiamento – che cala dall’alto più che altro come un elemento di disturbo o di rischio.

Se invece sei tu o qualcuno dei tuoi a confezionare il nuovo oggetto, questo è tuo, lo hai sperimentato e lo hai reso praticabile.

 

Un esempio che si può riscontrare nelle aziende?

Si pensi a quando l’R&D (Research & Development, ovvero Ricerca e Sviluppo) passa un progetto alla Produzione, e la Produzione si mette le mani nei capelli, perché si rende conto che chi ha progettato non ha considerato tutti i vincoli tecnologici e operativi del processo produttivo.

Con l’Augmented Coaching invece la Produzione e l’R&D scelgono alcune figure nei propri ranghi che conoscono bene la prassi attuale, costituiscono un team di progetto, vengono messi in condizione di lavorare insieme al nuovo prodotto o al nuovo processo produttivo, e con l’assistenza del coach affrontano via via i problemi nella loro concretezza.

Le soluzioni progettate sono dunque applicabili ed evitano i disagi di vedersi piombare addosso di colpo un insieme di novità disturbanti.

La stessa cosa è sempre successo a chi fa Marketing: può costruire una bellissima strategia di marketing, ma poi chi la deve realizzare, o gestirne la fase di vendita, si sente il suddito di una formulazione astratta, che non tiene conto della sua realtà vissuta, delle difficoltà concrete con il mercato o con i clienti.

È quanto accade tutte le volte che questo passaggio avviene in modo sequenziale, senza un momento di co-progettazione del cambiamento.

 

Intervista realizzata da Gianluca Landone


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