In seguito alla recente pubblicazione de’ “Il leader imperfetto“, la catena di librerie Feltrinelli ha dato spazio al suo autore, Gian Franco Goeta (fondatore e amministratore di Astrolab), in una serie di incontri aperti al pubblico nelle città di Milano, Roma, Torino, Firenze e Genova, realizzati nelle scorse settimane.

Gli incontri, pensati in origine come momenti di presentazione del libro, si sono in realtà rivelati occasioni di discussione e confronto, nelle quali le persone presenti hanno perso il loro ruolo passivo di ascoltatori, per ritrovarsi inaspettatamente protagoniste attive. 

È stato così lo stesso pubblico, guidato e stimolato da Gian Franco Goeta, ad esprimere riflessioni e anche preoccupazioni sul ruolo della leadership nelle organizzazioni di oggi, rendendo gli appuntamenti nelle Feltrinelli – a sorpresa – dei veri e propri workshop.

In questa intervista, al termine degli incontri nelle Feltrinelli, Gian Franco Goeta riprende quelli che sono stati i punti che hanno maggiormente interessato il pubblico nelle librerie, e spiega la sua visione della “nuova” leadership alla quale è dedicato il suo libro.

Gian Franco, hai scelto un titolo, per il tuo libro, “Il leader imperfetto”, inatteso, persino provocatorio. Quali sono le ragioni di questa scelta?

Quando si è trattato di dare un titolo al libro sul quale stavo lavorando, le prime idee che mi erano venute in mente erano cose come “Il leader saggio” o “Il leader consapevole”. Titoli che al momento mi sembravano ben rappresentare le pagine che stavo scrivendo. Ma poi è sopravvenuta una riflessione molto personale.

Io stesso ho raggiunto un certo grado di consapevolezza dopo tanto duro lavoro, e quanto all’essere saggio… ho qualche dubbio! E allora?

E allora, la leadership implica l’essere privi di punti di debolezza, l’essere perfetti? E come è pensabile essere perfetti oggi in un mondo complesso, in costante e imprevedibile evoluzione?

In fondo nel mio stesso libro, che sviluppa il tema della leadership facendo uso di metafore tratte dal grande schermo, avevo evidenziato come la forza del vero leader nasce dalla sua imperfezione, dalla sua umanità, dalle sue debolezze.

Momenti tratti da grandi film per condividere con il lettore una nuova visione della leadership, quindi. Anche questo legame sottile tra leadership e imperfezione lo si ritrova nei film citati nel libro?

L’esempio migliore relativo a questo legame tra leadership e imperfezione, così esplicito nel titolo del libro, lo si ritrova pienamente nel film “L’ora più buia” (titolo originale “Darkest hour”, 2017, regia di Joe Wright).

Nel film il protagonista, il Primo Ministro britannico Winston Churchill (interpretato da Gary Oldman), attraversa un momento tragico, chiamato dal destino alla drammatica sfida con Adolf Hitler.

Una sfida non facile, perché al nemico non manca comunque una visione, la superiorità dell’etnia germanica, e una mission, l’affermazione della Germania su tutte le altre nazioni. Visione e mission che pongono Hitler dalla parte sbagliata della storia, ma che comunque lo rendono un protagonista forte e pericoloso.

Nel libro si fa riferimento ad un momento cruciale, nel cuore della notte, nel quale Winston Churchill è tormentato dal pensiero di doversi rassegnare ad un negoziato con l’odiato nemico, come i suoi colleghi nel gabinetto di guerra gli propongono con pressante insistenza, forti di validi argomenti. Si sente inadatto, debole, incapace di esercitare la sua leadership, di far valere la sua visione nell’ambio del suo stesso partito, una visione per la quale sarebbe preferibile entrare in guerra con Hitler, piuttosto che venire a patti.

Churchill è schiacciato dai dubbi, dai sensi di colpa per il fatto di sentirsi impotente di fronte alla grande responsabilità di cui si fa carico quasi da solo, aggravato dal peso degli anni, dalla dipendenza dall’alcol, dalla sua immagine intaccata da precedenti fallimenti.

E qui entra in gioco la moglie Clementine (interpretata magistralmente dall’attrice Kristin Ann Scott Thomas). La moglie lo scopre insonne in piena notte in preda al tormento dei dubbi che si affastellano nel suo essere e allora affronta i sensi di impotenza e l’autoflagellazione del marito, esortandolo con un messaggio chiaro e semplice:

Non ti sentire in colpa, non ti sentire sbagliato. I dubbi? Sono la tua forza!

Spiazzato dalle parole di Clementine, Churchill riesce a compiere un salto che lo porta a superare gli steccati mentali nei quali si era rinchiuso. E a capire che in questo salto non è un individuo isolato, che non deve portare l’intero peso del dramma solo sulle sue spalle. E che la visione collettiva e non più individuale della leadership gli consente di essere un vero leader nonostante, o meglio grazie, alla accettazione delle sue imperfezioni, non come passiva rassegnazione, ma come punto di partenza verso la ricerca di una nuova prospettiva della realtà.

Questo passaggio del film è un momento splendido, illuminante, e questa visione dell’imperfezione quale leva sulla quale far nascere e crescere la vera leadership ha ispirato non solo il titolo del libro ma anche il mio lavoro di scrittura.

Nelle pagine del tuo libro si parla di leadership come danza corale. Una definizione suggestiva… ci puoi dire di più?

La leadership viene spesso narrata come fenomeno individuale, connessa ad uno specifico protagonista carismatico, centrale, che occupa tutta la scena.

Niente di più sbagliato.

L’immagine migliore della leadership, al contrario, è quella di una danza corale.

Un fenomeno collettivo, nel quale al fianco del leader agiscono persone che partecipano attivamente, come in una danza corale, che richiede armonia, consenso.

Nel film “L’ora più buia” lo dimostra l’impatto decisivo prodotto da Clementine, a cui segue re Giorgio, e infine i passeggeri della metro in cui per la prima volta si tuffa Winston, alla ricerca di segnali sugli umori della gente.

E questo vale per Winston Churchill come per chiunque sia chiamato ad un ruolo di leadership all’interno di un’organizzazione, ad esempio in azienda.

Qual è allora la strada per divenire un leader?

Accettare l’imperfezione è il primo passo. Che consente di non sentirsene più prigionieri.

Una volta accettata l’imperfezione come dato ineluttabile della nostra umanità, del nostro essere persone, l’imperfezione diventa una leva sulla quale costruire qualcosa.

Proprio come per Winston Churchill che riconosce le sue debolezze, le sue fragilità, e su queste costruisce la sua sfida al nazionalsocialismo, alla visione di Hitler della storia, guidando in una danza corale la Gran Bretagna attraverso l’ora più buia.

Gian Franco, facciamo un passo indietro: come nasce la stessa idea di scrivere “Il leader imperfetto”?

L’idea è nata in un momento particolare per tutti noi, ovvero durante il lockdown nel 2020.

La diffusione del Covid-19 mi ha all’improvviso tenuto lontano dalla mia attività di coaching, che era da sempre abituato a gestire con incontri personali. E così mi sono tuffato in questo lavoro, scrivendolo in soli due mesi.

In passato mi ero già trovato a scrivere libri, ma potevo farlo solo negli interstizi delle mie attività, ad esempio nei week-end.

In questo caso, invece, l’essermi dovuto dedicare a tempo pieno esclusivamente al lavoro di scrittura mi ha portato a essere estremamente rapido, come se si fosse rotta una diga e fluissero liberamente idee e pensieri da mettere su carta.

E la quantità di materiale prodotto è stata tale che semmai è stato più lungo il lavoro successivo alla stesura, ovvero quel lavoro di lima per ridurre e semplificare il testo, il linguaggio utilizzato.

L’idea di base del libro è stata quella di rivedere la leadership alla luce del contesto attuale, quello di un mondo iperconnesso. E di riconnettere il fenomeno della leadership al nostro essere umani, raccontandolo attraverso metafore tratte da celebri film.

Tra questi, un film che amo particolarmente: “La forma dell’acqua” di Guillermo del Toro. Una storia che illustra le qualità che consentono ai deboli di vincere la loro battaglia per la vita contro i potenti: sensibilità, creatività e coraggio di cambiare.

Negli incontri nelle Feltrinelli hai raccontato anche di come il linguaggio dei social media sia stato per te uno stimolo stilistico nella stesura del libro.

È proprio così. Un elemento per me innovativo, nel lavorare su “Il leader imperfetto”, è stato il mio recente accostamento ai social media. Ho in particolare scoperto il valore della comunicazione e delle relazioni sulla piattaforma di Linkedin.

A questa scoperta sono seguiti diversi articoli che ho scritto su Linkedin, sui temi più diversi, non necessariamente connessi alla mia attività professionale come business coach, magari anche divagando. Ma questi articoli mi sono serviti, via via, a capire la necessità di scrivere in modo diverso, andando rapidamente al punto, con la chiarezza ed immediatezza di linguaggio richiesta in queste nuove forme di comunicazione.

Lavorando parallelamente sulla stesura de’ “I leader imperfetto”, l’esperienza di scrittura su Linkedin mi ha portato ad un approccio diverso da quello avuto scrivendo i miei precedenti libri.

Uno stile più stringato, veloce, dritto al punto, grazie al quale il dialogo col lettore è più fluido (perché di “dialogo” si tratta, se chi scrive e chi legge sono uniti da un sentire comune).

Dal tuo punto vista, data la tua profonda e lunga esperienza professionale, hai assistito – e ne sei stato al contempo protagonista – all’evoluzione del business coaching. In un mondo sempre più complesso, e guardando al futuro, quale pensi che sia la sfida maggiore per i leader di domani?

Spesso mi viene chiesto quale sia il messaggio principale che intendo mandare ai leader delle nuove generazioni.

Il messaggio principale è legato a quel concetto di danza corale: la vera leadership non è mai un fenomeno individuale, ma sempre un fenomeno transpersonale.

E quindi occorre saper ascoltare, mettersi in sintonia, percepire la criticità di una situazione, e impegnarsi nella ricerca e identificazione di una soluzione, già in partenza più applicabile perché basato sulla partecipazione e sul consenso di tutti.

Ma quale soluzione? L’esperienza insegna che la prima soluzione che viene in mente non è, molto probabilmente, quella migliore. Anzi.

In un mondo dominato dalla complessità, la soluzione che spesso appare la più logica, se non la più ovvia, può essere anche quella più ingannevole.

Perché è necessario prima uscire dalla prigione mentale delle “logiche ovvie” nella quale siamo tutti bloccati, prima di cercare e costruire la soluzione.

Solo così siamo in grado di attivare quella creatività richiesta dai problemi più complessi. Una creatività che richiede tempo e spesso fatica.

Anche la creatività gioca allora un ruolo importante nella leadership di domani…

Corretto. Infatti, a fianco al concetto di danza corale, l’altro messaggio per i leader delle nuove generazioni è l’importanza della creatività nella gestione dei problemi. La creatività dell’individuo che funge in quel contesto da leader, come anche la creatività degli altri membri della sua comunità.

E questo richiede la capacità già citata di saper ascoltare, la capacità di interagire con gli altri dando loro un ruolo attivo, di mettersi in sintonia, di mettere insieme la creatività del gruppo con la situazione reale.

Veniamo alla classica domanda: leader si nasce o si diventa?

L’esperienza personale, ma anche la storia, dimostrano come non esistano leader naturali. Così come non esistono leader “per tutte le stagioni”.

Ciascuno di noi può diventare leader, anzi oggi viene richiesto a ciascuno di noi di essere pronti ad assumere un ruolo di leader in determinati contesti e circostanze, e questo è possibile. È possibile crescere come leader.

Ricordiamo poi che a volte leader lo siamo inconsapevolmente. Le tecnologie oggi potenziano la comunicazione del singolo individuo, al punto che il suo pensiero può andare ben al di là, come impatto, della sua cerchia immediata di relazioni. Anche questo aspetto responsabilizza tutti noi, e ci impegna a diventare leader più efficaci. Sapendo che saremo tanto più efficaci quanto più sapremo porci in posizione di ascolto e diventare interpreti della comunità e della situazione di cui siamo parte.

Questa nuova visione della leadership che cosa comporta per la pratica del coaching?

Questa visione del leader che accetta le sue debolezze fino a farne leva, che impara ad ascoltare, che sa come avviare una danza corale, che utilizza come risorse per il problem-solving la creatività collettiva, si connette profondamente ad una nuova visione della metodologia del coaching: l’Augmented Coaching.

Solo questo approccio, che ha l’ambizione di andare al di la’ del coaching classico, consente di affrontare la complessità del mondo iperconnesso, di muoversi in una visione sistemica. In un certo senso, leadership imperfetta e Augmented Coaching sono accomunate da un fil rouge che li connette. Ma di questo parleremo in futuro. Magari in un nuovo libro!

 

Contributor: Gianluca Landone


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